La pittura di Stefania Fersini mette in dubbio il nostro percepito.
Ciò che stiamo guardando è realmente ciò che sembra? Installazioni che riproducono luoghi domestici in un continuo dualismo tra rappresentazione e rappresentato, copia e originale, vero o falso. Finti specchi, puzzle, pareti: sono questi i suoi dipinti che, come scenografie, dialogano con oggetti di scena. In questa occasione, Fersini usa il senso del gusto, per mettere in atto la scenografia di un’Ultima Cena. Una lunga tavola imbandita, tredici posti in cui nessuno è presente. Neanche il cibo (o forse sì). Fersini ci propone un piatto vuoto, per farci riflettere sul contenuto mancante. Ci invita a sederci, a diventare attori di questa scenografia e infine di nutrirci di questo vuoto.
(…) ” J’ai sept ou huit sens. Un d’eux: celui du manque.
Je le touche et le palpe comme on palpe du bois.
Mais ce serait plutôt une grande forêt, de celles-là qu’on ne trouve plus en Europe depuis longtemps.
Et c’est ma vie, ma vie pour le vide.
S’il disparaît, ce vide, je me cherche, je m’affole et c’est encore pis.
Je me suis bâti sur une colonne absente.” (…)
Da Je suis troué di Henry Michaux (1929)