(“Il vero viaggio è avere nuovi occhi per guardare il mondo e la realtà che ci circonda” M. Proust)
Il progetto nasce in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità 2023 e dalla collaborazione delle tre associazioni Anffas della provincia di Brescia: Anffas Brescia, Anffas Desenzano del Garda e Anffas Vallecamonica.
L’iniziativa avrà luogo a Brescia, presso il MO.CA Centro per le Nuove Culture di via Moretto, e si articolerà in due momenti distinti: dal 2 al 9 dicembre 2023 sarà infatti possibile visitare una mostra fotografica che riunirà i progetti sviluppati e già esposti separatamente da Anffas Desenzano (“Un’altra visione” dei fotografi Antonello Perin e Cristina Treccani) e da Anffas Brescia (“Il filo srotolato” del fotografo Adriano Treccani), mentre il 7 dicembre si terrà un convegno per indagare il rapporto tra fotografia e disabilità.
Contesto:
Negli ultimi anni, sulla spinta della diffusione dei principi immortalati nel 2006 nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità – la quale non è più vista come patologia ma come il “risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali e ambientali che impediscono la loro piena partecipazione alla società su base di uguaglianza” – e dei paradigmi che ri-definiscono le disabilità, è andata approfondendosi la riflessione sulle forme più corrette con cui rappresentare sui media questi mondi.
Non è stato ancora possibile, tuttavia, incidere significativamente su tali forme.
A dimostrazione di come il tema sia vivo ed attuale, nel dicembre dello scorso anno è stata presentata la Carta di Olbia, che sarà il protocollo deontologico che guiderà il lavoro dei giornalisti che trattano notizie riguardanti la disabilità. Come scrive Susi Ronchi di GiULia (GIornaliste Unite LIbere Autonome), promotrice della carta, “è uno strumento fondamentale che ci permette di scegliere le parole giuste per una rappresentazione rispettosa e riuscire a rovesciare il paradigma frutto di pregiudizi e discriminazioni […] attraverso un linguaggio che non ceda a facili pietismi o trionfalismi”. Sull’argomento, si segnala anche il volume di pubblico dominio “Le parole giuste. Media e disabilità”, promosso da Anffas Nazionale recentemente presentato come buona prassi italiana al Palazzo di Vetro dell’ONU.
Nella società odierna, poco avvezza all’approfondimento critico, il ruolo delle immagini è sempre più clamorosamente importante, con tutte le grandi cautele che ciò dovrebbe comportare. C’è chi dice che le fotografie dicono la verità. Berger invece, a conferma di quanto il tema sia complesso e delicato, afferma che “di per sé la fotografia non può mentire, ma neppure dire la verità”. Del resto già Kafka anticipava che “nulla può ingannare tanto quanto la fotografia”. Rimane il fatto che sia sempre più potente il suo ruolo nella comunicazione.
Conseguentemente anche il mondo della fotografia continua ad interrogarsi sulle modalità con cui il professionista può e dovrebbe rappresentare le persone con disabilità, rendendosi conto che uno scatto è in grado di generare messaggi, pensieri e comportamenti scorretti, nella consapevolezza, per di più, che “non è facile sintetizzare in uno scatto un mondo vasto e complesso come quello della disabilità”.
Il fotografo spagnolo Joan Fontcuberta, nel volume “La furia delle immagini”, ha coniato l’espressione homo fotograficus, che riassume meglio di qualsiasi altro termine l’impatto sociale e culturale della fotografia nelle nostre vite: “una bulimia delle immagini generata da un bisogno impellente di raccontarsi, alimentato oggi dai social media. L’immagine è predominante. All’interno di questa dimensione visiva, quasi per la legge dei grandi numeri, ha trovato spazio anche la rappresentazione della disabilità come necessità di raccontare questa particolare condizione”.
In questo contesto, in cui non pochi fotografi si cimentano nell’ambito della fotografia sociale e documentaristica, inevitabilmente ci si deve interrogare su ciò che si vuole “raccontare mostrando” e sul risultato che si vuole ottenere.
Si vuole mostrare la disabilità, come spesso avveniva in passato, o piuttosto si vuole mostrare la persona? E di questa persona vogliamo solo mostrare il dolore o, invece, vogliamo mostrare la complessità di una quotidianità fatta, come per tutti, anche di sofferenze ma anche di tanta bellezza? Come sostiene Massimo Podio, questo non significa distogliere lo sguardo dal dolore e dalle difficoltà, ma è pur necessario andare alla scoperta del bello nelle vite, spesse volte difficili, di alcune persone. Il suo intento è quindi di “accompagnarci a conoscere senza reticenza queste vite, mostrandoci tanta ordinarietà non così lontana dalla nostra”, aggiungendo che anche persone con disabilità importante possono condurre una vita “straordinariamente ordinaria”.
Cristian Tasso, riferendosi al proprio lavoro “Nessuno Escluso”, parla di “quotidianità che non ti aspetti quando parli di disabilità. Perché quando parli di disabilità ti aspetti sempre una fotografia di qualcosa che manca e invece qui c’è tutto. Tutta la loro vita”. A questo aggiunge: “non ho negato la disabilità. In molte fotografie è anche visibile, ma non l’ho messa al centro”. In più, come altri colleghi, pone l’enfasi sul fatto che “l’immagine è il frutto di un incontro. Per me l’aspetto importante in questo campo non è la fotografia mordi e fuggi ma il processo di conoscimento. Incontrarci, conoscersi, scambiare. La fotografia è solo una parte dell’incontro”.
Convegno
(dalle 16.00 alle 19:00/19:30 circa)
Moderatore: Massimo Tedeschi, giornalista e scrittore
Fausto Podavini, fotografo https://www.faustopodavini.eu/ Il significato della fotografia sociale. Come rappresentare con essa le persone con disabilità. L’importanza della conoscenza con le persone che si fotografano e la loro quotidianità.
Tra arte e comunicazione
Michele Smargiassi, giornalista https://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/ Risvolti etici nella fotografia sociale. Enfatizzare la disabilità o la persona? Tra pietismo e spettacolarizzazione del dolore. La diversità può essere un valore? Fotografia e organizzazioni non lucrative: che immagini usare per il fundraising
Altri possibili spunti trasversali:
- Il fotografo deve essere distaccato ed imparziale o è fondamentale che il suo punto di vista emerga e traspaia dai suoi lavori?
- Ha senso una contrapposizione tra chi sostiene che per fotografare le persone con disabilità bisogna usare il bianco e nero per mantenere un senso artistico e chi paventa il rischio invece che il bianco e nero, a differenza del colore, sia soggetto al rischio di luci grevi che facilitino immagini stereotipate di sofferenza?
- La fotografia deve dare risposte o piuttosto far nascere domande?